James Turrell, Twilight epiphany (Houston, 2012)

Saturazione dei sensi, luce e coinvolgimento

L’arte del primo novecento ci ha insegnato che l’opera può essere percepita in molti modi e non solo frontalmente come da tradizione.

La relazione con lo spazio e con lo spettatore diventarono in particolare dal secondo dopoguerra tematiche centrali più o meno contemporaneamente per svariati movimenti artistici.

Robert Morris, L-Beams (1965)
Robert Morris, L-Beams (1965)

La Minimal Art con le proprie opere fredde, geometriche ed ermetiche va a creare dei percorsi di vista che spingono l’osservatore ad entrare nell’opera, a camminarci attorno e a relazionarsi con essa in modo attivo.

Ciò che Bernini faceva con il Ratto di Proserpina (1621) imponendole una rotazione vorticosa viene ora fatto con mezzi astratti, abbandonata la figuratività la scultura non perde il proprio appeal sul pubblico.

Esempio di questo fenomeno è l’opera L-beans di Robert Morris in cui lo spazio gioca un ruolo fondamentale sulla percezione dell’opera.

Ulteriore passo in avanti viene sempre da un artista proveniente da questo movimento, Dan Flavin. Egli iniziò la propria esperienza minimalista creando delle sculture molto semplici con tubi al neon per poi proseguire nella sperimentazione sulla luce andando man mano a modificare lo spazio con usi sempre più complessi dell’apparato luministico.

Dan Flavin, Untitled (Chiesa Rossa a Milano, dal 1996)
Dan Flavin, Untitled (Chiesa Rossa a Milano, dal 1996)

Luce e spazio paiono indissolubilmente relazionati e l’avanzare dei mezzi tecnologici non fa che far incrementare queste esperienze verso indirizzi sempre più coinvolgenti ed estranianti per il pubblico.

Tra gli artisti che tratteremo più avanti un posto d’onore in questo ambito spetta a James Turrel che con i propri Skyspaces, cioè delle stanze con un’unica apertura sul cielo che così risulta incorniciato ed esaltato. Al variare dei colori del cielo variano i colori dell’illuminazione all’interno della stanza rendendo l’esperienza percettiva degli spettatori pura e facendogli così scoprire i valori cromatici e allo stesso tempo il cielo che sempre ci sovrasta e che spesso passa inosservato nonostante la sua immensità.

Il coinvolgimento del pubblico non passa però solamente attraverso la luce.

Niki de Saint Phalle dal 1979 creò il Giardino dei Tarocchi su una collina in provincia di Grosseto in un luogo isolato dal turismo. Il giardino si compone di diverse enormi sculture abitabili ricoperte di specchi e mosaici dai colori luminosi, sostanzialmente crea un suo piccolo mondo in cui il visitatore viene invitato ad immergersi per distaccarsi dal caotico quotidiano.

Niki de Saint Phalle, dettaglio Giardino dei Tarocchi (Grosseto, dal 1979)
Niki de Saint Phalle, dettaglio Giardino dei Tarocchi (Grosseto, dal 1979)
Jean Tinguely, Meta harmonie I (1978)
Jean Tinguely, Meta harmonie I (1978)

Alla creazione di questo luogo onirico partecipò anche il marito dell’artista, Jean Tinguely, artista a sua volta che con i suoi automi fatti di materiali di scarto produce suoni e movimenti altrettanto estranianti per lo spettatore.

Oggi le sperimentazioni sul coinvolgimento del pubblico continuano sui filoni più disparati e spesso si ibridano con la tematica dell’intrattenimento, argomento più che mai contemporaneo e con cui l’arte è inevitabilmente chiamata a confrontarsi.

 

Crediti fotografici: revolart.it, ansiapop.it, portage-du-sensible.blgspot.it, gizmodo.com.au