Confrontiamo due artisti che hanno scelto la via dell’astrattismo, ma che appartengono a due generazioni e contesti distanti fra loro.
Piero Dorazio è probabilmente il più celebre degli astrattisti italiani e la sua attività artistica, sempre più intensa a partire dal secondo dopoguerra, prende l’avvio dalla firma del manifesto di Forma 1 assieme ad altri artisti destinati ad innovare il nostro panorama artistico. Tra questi ricordiamo Giulio Turcato e Carla Accardi che, pur aderendo a quello stesso formalismo di Dorazio, presero strade molto autonome tra loro.
Il gruppo quindi si contraddistingue da subito per la sua eterogeneità, ma i punti di incontro comune rimangono saldi nonostante poi ognuno scelga modalità espressive originali.
Alla base del pensiero di Dorazio e dei suoi compagni vi è infatti la volontà di slacciarsi dalla rappresentazione del reale pur continuando a definirsi Marxisti. I dettami del PCI infatti sostenevano un’arte di stampo realista aborrendo tutto ciò che era astratto e Togliatti, in occasione di una mostra del gruppo Forma 1, disse che “uno scarabocchio è sempre uno scarabocchio”.
Le opere di Dorazio si caratterizzano per l’uso di sole forme elementari e per la sperimentazione sulle possibili interazioni. La linea e il colore diventano un elemento centrale che mai l’artista abbandonerà nel corso della sua carriera.
I lavori di Dorazio spesso sembrano trame di fili sottilissimi che con leggere variazioni cromatiche creano sfumature con un ritmo molto musicale. Con questo metodo Dorazio riesce a raggiungere l’essenza dell’arte e quegli elementi che vanno a toccare lo spettatore nel profondo, è una pittura liberata da volontà narrative e mimetiche.
Lo stesso interesse per il segno grafico elementare ripetuto e interconnesso caratterizza le opere del giovane artista Venezuelano Reymond Romero che, pur non possedendo quell’originalità e varietà di Dorazio, dà vita a delle interazioni cromatiche molto interessanti che denotano la sensibilità dell’artista per linea e colore.
Stupirà però scoprire che le opere di Romero non sono realizzate con tempera e pennello, ma con dei veri e propri fili disposti in modo molto serrato tra loro. In questa pratica vi è un rimando alla tradizione tessile venezuelana, ma anche ai suoi colori e a come dargli una loro volumetria e plasticità.
Le opere di Reymond Romero sono create per una fruizione frontale, ma aprono alla tridimensionalità grazie alla sapienza con cui l’artista riesce ad accostare linee e colori simulando il movimento e la profondità.
Le parole di Dorazio in riferimento ai colori e alla nostra percezione sembrano quindi altrettanto calzanti per l’opera di Romero:
“i colori parlano da soli, fra di loro, due o tre alla volta o tutti insieme. Guardandoli uno per uno e imparando a identificarli, avremo dei nuovi compagni della nostra vita, i quali in qualsiasi momento di tristezza saranno sempre pronti, se li fisseremo, a consolarci, a renderci tranquilli, a darci allegria e speranza.”